L’olio di
Palma è oggetto di polemiche e discussioni da un po’ di tempo, tuttavia qui
AgroeD vuole cercare di analizzare insieme la domanda se questo tipo di olio
vegetale fccia male, quanto faccia male e perché faccia male. La risposta è da ritrovare, senza
ombra di dubbio negli studi condotti dai ricercatori che affermerebbero le
proprietà dannose sia in via diretta che indiretta dell’olio di palma. Dall’altro
lato, invece alcuni ricercatori in Malesia e in Indonesia (i principali paesi
produttori di olio di palma) tentano di dimostrare il contrario.
Le aziende
italiane che usano il palma in quasi tutti i prodotti alimentari cercano di
ignorare questo problema, anche se è ormai difficile sostenere che si tratta di
un grasso di buona qualità. Abbiamo chiesto un parere al Ministero della
salute, all’Istituto Superiore di Sanità, all’Istituto nazionale di ricerca per
gli alimenti e la nutrizione (ex Inran ora Cra Nut): nessuno ha saputo fornire
risposte sulla sicurezza di questo ingrediente. In assenza di fonti ufficiali
abbiamo fatto una ricerca per vedere cosa dice la letteratura scientifica a
proposito del grasso palma e le conclusioni sono poco rassicuranti.
La
situazione
oggi sembrerebbe alquanto difficile in quanto lavori scientifici lo evidenziano:
spiega così Anna Villarini Biologa nutrizionista presso l’Istituto nazionale
dei tumori di Milano.
Una
raccolta di studi condotta dai ricercatori e nutrizionisti italiani come Elena Fattori,
Cristina Bosetti, Furio Brighenti, Claudio Agostoni e Giovanni Fattore su
oltre 50 lavori diversi e pubblicata nel 2014 su The American Journal of
Clinical Nutrition, evidenzia che il consumo abituale di olio di palma fa
aumentare in modo significativo la concentrazione di grassi nel sangue, dal colesterolo
ai trigliceridi. Non solo, il rapporto tra colesterolo cattivo (LDL) e buono (HDL)
aumenta, per cui alla fine si assiste a maggiori livelli di colesterolo
cattivo. Un altro elemento evidenziato è la maggiore presenza di colesterolo
cattivo nel sangue tra gli abituali consumatori di olio di palma, rispetto alle
persone che impiegano altri grassi decisamente più salutari come l’olio
extravergine di oliva.
Un’altra considerazione – continua Villarini – è che il
palma viene spesso utilizzato in forma esterificata dalle aziende alimentari e
questa modifica peggiora il profilo lipidico favorendo il danno
cardiovascolare. C’è infine un lavoro pubblicato su Lipidsnel 2014 da Perreault
M dove si associa il consumo di acido palmitico all’incremento di sostanze
infiammatorie circolanti nel sangue. È noto che gli stati di infiammazione
cronica favoriscono lo sviluppo di varie patologie come le cardiovascolari,
l’aterosclerosi, il diabete e anche alcuni tumori.
In India, invece, dove il consumo
di olio di palma e di alimenti che lo contengono ha raggiunto alti livelli. Il
governo sta valutando di mettere una tassa per disincentivarne l’impiego visto
l’impatto che avrebbe sui livelli di colesterolo, sulla mortalità per malattia
coronarica e per malattia cerebrovascolari.
Le
informative scientifiche sul palma non sono finite. Uno degli studi più
accreditati condotto in 23 Paesi nel periodo compreso tra il 1980 e il 1997, da
Brian K Chen e collaboratori, nel 2011 ha esaminato gli effetti negativi sulla
salute riferiti ad un lungo periodo.
Gli
autori sostengono che per ogni kg di olio di palma assunto in più ogni anno,
aumenta il tasso di mortalità per patologia cardiovascolare. La stima parla di
68 morti ogni 100.000 abitanti. Questo valore risulta inferiore per i paesi
industrializzati (17 morti ogni 100.000 abitanti) dove questa materia grassa è
meno utilizzata. Volendo trasferire la valutazione dell’incremento del rischio
cardiovascolare e di infarto in seguito all’aumento di 1 kg di palma pro capite
l’anno, al nostro Paese la stima equivale a oltre 10.000 morti l’anno. Nello
stesso lavoro, gli autori hanno preso in esame il ruolo degli altri grassi
presenti nella dieta, perché i sostenitori del palma basano spesso le tesi
difensive sul fatto che l’incremento di colesterolo serico non può essere
imputato a un solo grasso ma a tutti quelli assunti nella dieta o, come
indicato in una recente review italiana del 2013 da Fattore e collaboratori,
dalla struttura dei trigliceridi.
Ebbene,
secondo i dati raccolti da Chen, l’effetto negativo del palma persiste
indipendentemente dagli altri grassi della dieta.
Come
si spiega dunque, l’uso per tanti anni di queste sostanze, soprattutto in campo
industriale?
Dagli anni
Settanta l’industria ha cercato soluzioni per ridurre i costi di produzione
cominciando ad usare in modo ancora limitato il palma nel pane, nelle merendine
e nei biscotti. I nuovi prodotti più morbidi, più umidi e spesso con farciture,
richiedevano però imballaggi particolari e molto costosi come quelle in
alluminio dei primi biscotti wafer. In altri casi si usava aggiungere alcool
per evitare la formazione di muffe.
Con il
progressivo incremento dell’olio di palma nelle ricette, i prodotti sono
diventati più stabili e ormai non richiedono né alcool come alcune merendine
della prim’ora né imballaggi costosi. Come spesso accade, il consumatore però
non si è accorto che in questi anni l’aspetto dei prodotti è rimasto lo stesso
anche se sono cambiati gli ingredienti e le ricette.
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